Titolo: Alone. Il solitario
Autore: Giada Bafanelli
Editore: Autopubblicato
Prezzo: 0,99€
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Dopo aver attraversato la Svezia, il cacciatore di lupi mannari Einar
Ivarsson arriva nella piccola e silenziosa città di Falun. Lì viene
ingaggiato per uccidere Kirsi, una ragazza che due mesi prima si è
tramutata in mannaro, aggredendo due uomini. Ma niente è ciò che sembra
e, tra apparizioni misteriose e rivelazioni oscure quanto pericolose,
Einar si troverà a dover fare delle scelte difficili che riporteranno a
galla il suo passato.
L'AUTRICE
Giada Bafanelli ha 27 anni e le sue più grandi passioni sono sempre
state la musica e la narrativa, specialmente di genere fantasy. Oltre al
racconto urban fantasy “Alone. Il solitario”, ha pubblicato il romanzo
fantasy ispirato alla mitologia norrena “La figlia della vendetta” e il
prequel “I giardini di Asgard”.
UN ESTRATTO
Einar guardò l’orologio per l’ennesima volta. Detestava quando la gente non arrivava in orario.
«Vuole
ordinare, ora?» la cameriera, una ragazzina magra e piena di lentiggini
intenta a masticare un chewingum, si era accostata di nuovo al suo
tavolo.
«No, grazie. Sto ancora aspettando una persona.»
La cameriera rispose con un’alzata di spalle e si allontanò.
Einar,
sbuffando, si poggiò allo schienale. Il suo cellulare era andato, e non
poteva nemmeno chiamare la cliente per sapere se fosse morta. “Quasi
tre quarti d’ora di ritardo, cazzo…”
E pensare che si era dovuto
alzare all’alba e aveva attraversato in auto quella che a lui sembrava
mezza Svezia, per arrivare puntuale all’appuntamento in quel buco di
città. Si voltò a guardare verso la finestra: fuori aveva ripreso a
nevicare così forte che era difficile distinguere persino i palazzi
dall’altra parte della strada. Era ovvio che a quel punto, e per di più
con un tempo del genere, non si sarebbe presentato nessuno. Cercando di
reprimere l’irritazione, si alzò dal suo posto e si infilò il cappotto.
«’Fanculo» mormorò a denti stretti, rendendosi conto che la
cameriera lentigginosa lo stava fulminando da lontano. Ma, considerando
che aveva occupato per tre quarti d’ora un tavolo senza consumare
niente, suppose che quell’occhiataccia fosse più che meritata. Prese il
portafogli e lo aprì, alla ricerca di una banconota da lasciare sul
tavolo prima di allontanarsi. “Quante Corone di mancia andranno bene?”
Come
se avesse avuto una sua volontà, lo sguardo gli cadde sulla fotografia
che teneva, ormai da anni, all’interno del portafogli.
Eva
sorrideva, in quella foto. I capelli lunghi e biondi le ricadevano
scompigliati sulle spalle; le labbra rosse spiccavano come due petali
sulla carnagione chiara.
Einar distolse lo sguardo e si morse
l’interno della guancia. Si accorse che una mano gli tremava, così
richiuse il portafogli e se la infilò in tasca.
«Signor
Ivarsson?» una voce femminile lo riportò alla realtà. Rialzò lo sguardo e
i suoi occhi si posarono su un viso di mezza età, segnato però da rughe
che sarebbero dovute appartenere a una donna molto più vecchia. «Sono
Päivä Saarinen, ci siamo sentiti al telefono l’altro giorno. Mi dispiace se l’ho fatta aspettare, ma sono stata bloccata a causa del tempo.»
Einar
ricacciò indietro la smorfia che gli si stava dipingendo in faccia.
«Signora Saarinen…» disse, stringendole la mano. «Non si preoccupi, ero
appena arrivato.»
Solo dopo che la cameriera ebbe preso
le ordinazioni, la signora Saarinen si arrischiò a rivolgergli un timido
sorriso di circostanza.
Einar conosceva bene quell’espressione,
perché era quella che di solito assumevano i familiari del mutato quando
non sapevano come cominciare il discorso spinoso che avrebbero dovuto
affrontare. Nonostante cercassero di mascherare la vergogna e la paura,
Einar ormai era in grado di riconoscere i pensieri dei suoi clienti.
Inoltre, tanto tempo prima, anche lui aveva provato quegli stessi sentimenti.
«Allora» disse, per rompere il silenzio che si era creato «al
telefono mi ha parlato di un mutato, ma non ha voluto aggiungere altro.»
Päivä Saarinen annuì. «Si tratta di Kirsi, mia figlia. È
successo due mesi fa» la signora Saarinen parlava svedese con un accento
finlandese così forte che Einar aveva paura di non riuscire a capire le
parole. «Io e Kirsi ci siamo trasferite da Tampere l’anno scorso, dopo
la morte di mio marito. Qui a Falun vive mia cognata, che mi ha aiutata a
trovare un nuovo lavoro e a rifarmi una vita. Sa, signor Ivarsson, non
riuscivo più a restare a Tampere: avevo troppi ricordi, laggiù.» La
donna distolse lo sguardo dal suo. «Purtroppo, per Kirsi è stato molto
diverso. Lei è solo una ragazza e io, accecata com’ero dal dolore, non
ho pensato a quello che poteva provare. Prima ha perso suo padre, e poi
io l’ho sradicata dalla sua vita, portandola qui. Ha finito per
odiarmi.»
Einar annuì per educazione, anche se non poté fare a meno di mettersi a tamburellare con le dita sul tavolo.
«Comunque,
pur di stare lontana da me, Kirsi ha cominciato a girovagare per la
città. Usciva a tutte le ore del giorno e della notte. Ero terribilmente
preoccupata, ma lei non voleva starmi a sentire. Anzi, se ne andava di
proposito a orari improponibili, pur di farmi stare in pensiero.»
«È normale, a una certa età.»
La signora Saarinen annuì, fissando la tazza di blåbärssoppa che aveva davanti.
«Una
notte, però, sono stata chiamata dall’ospedale. Kirsi era stata
aggredita da un animale, ed era ferita gravemente» la donna interruppe
il suo discorso per asciugarsi gli occhi col polpastrello. «Mi scusi.»
«Si figuri.»
«Quando
sono arrivata non mi hanno nemmeno lasciata entrare. Due infermieri del
turno di notte erano stati sbranati, e Kirsi era scomparsa.»
«Com’era la luna, quella notte?» domandò Einar.
«Piena» rispose. «È stata Kirsi ad aggredire quegli uomini. Li ha uccisi, capisce? Un sopravvissuto l’ha vista.»
«Capisco.»
La donna scosse la testa. «No, sinceramente non credo che lei possa capire.»
“E tu cosa ne sai?” pensò, ma evitò di risponderle.
«Mi perdoni.» Lo sguardo che Päivä Saarinen gli lanciò sembrava dispiaciuto.
Einar rispose con un’alzata di spalle.
«Il
fatto è che non è facile, per una madre, accettare una cosa del genere.
Non riesco ancora a credere che Kirsi abbia ucciso delle persone, io…
non riesco a credere che sia mutata, che sia successo proprio a lei.» La
donna tornò a fissare il blåbärssoppa, poi prese un respiro profondo e
continuò: «È per questo che l’ho contattata, signor Ivarsson. Kirsi ha
bisogno di essere aiutata, e lei
può farlo.»
Einar non riuscì a nascondere la sorpresa.
«Aiutarla?» Aveva parlato a voce troppo alta, e alcuni clienti si erano
voltati a guardarlo dai loro tavoli. «Signora Saarinen, io non posso
aiutare sua figlia. Nessuno può farlo» spostò la sedia un modo da
potersi avvicinare un po’ di più alla donna. «Una volta che il
contagiato muta, non c’è modo di tornare indietro.»
«Lo so»
rispose lei. «Non sono una sciocca, signor Ivarsson, e ho smesso di
farmi illusioni molto tempo fa. Niente tornerà più com’era prima. Ma una
madre ha il dovere di aiutare la propria figlia, ed è per questo che
l’ho chiamata. Se la morte è l’unico aiuto che posso dare a Kirsi,
ebbene, glielo darò.» stavolta, la sua voce era chiara e ferma. «La
prego, uccida Kirsi per me.»
lunedì 28 settembre 2015
Anteprima: "Alone. Il solitario" di Giada Bafanelli
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Chi sono?
Nata nel 1993, vivo a Roma. Laureata in Editoria e Scrittura, sono anche giornalista e pubblicista da maggio 2014. Ho una gran passione non solo per i libri, ma anche per il teatro e per la cucina.
Grazie di cuore :)
RispondiEliminaGiada
Prego Giada! :)
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