Intervista a Roberto Leonardi: "Blackout nasce durante una notte particolarmente turbolenta" - Un lettore è un gran sognatore | Blog di letteratura, storia, cultura, teatro

mercoledì 11 novembre 2020

Intervista a Roberto Leonardi: "Blackout nasce durante una notte particolarmente turbolenta"

Ospite del giorno è Roberto Leonardi, autore di Blackout, un thriller da cardiopalma, ambientato nell'immaginaria Joylet. 




Blackout è un thriller mozzafiato che stravolge sul finale tutte le certezze che il lettore si è creato nel corso della lettura. Come nasce Blackout? 

Bella domanda. “Blackout” nasce durante una notte particolarmente turbolenta. Forse la cena di quella sera mi era rimasta sullo stomaco, ma quella notte sono stato vittima del fenomeno che tratto nel libro: la paralisi del sonno, o paralisi ipnagogica. La strega (Pandafeche nella mia regione, Old Hag nella maggior parte degli Stati Uniti), di cui parlo nel libro, l’ho realmente intravista ai piedi del letto. E da lì è nata l’idea di base del libro, di trattare quel tema attraverso gli occhi di una donna particolarmente suscettibile. Poi, le letture di King e Lovecraft hanno fatto tutto il resto, contribuendo al ricamo della trama. 



La storia è ambientata nell’immaginaria Joylet, un paesino cupo e misterioso che si trova in Pennsylvania. La sua aria sinistra, i suoi abitanti un po’ particolari, e la sua strana forma la rendono una perfetta ambientazione per questa storia. Come ha preso forma nella tua testa? Ti sei ispirato a qualche cittadina in particolare? 

Ero alla ricerca di qualcosa di diverso, da poter spingere al limite. Spesso le città americane hanno una struttura ben definita, squadrata. Troppi angoli retti, per capirci. Per questo ho voluto creare una cittadina che fosse l’antitesi di quella reale. Quella circolarità mi ha da subito fatto ricordare un gioco a quiz che amavo da ragazzo: “Trivial Pursuit” e i suoi sei spicchi colorati. 


Oltre a Blackout, alle spalle hai pubblicazioni come L’uomo senza volto e Lasciati uccidere, editi sempre Leone Editore. Il genere è lo stesso per tutti e tre i libri, il thriller. Come mai hai scelto di focalizzarti su questo genere? E cosa deve avere, secondo te, un buon thriller per essere apprezzato dal pubblico? 

Ho scelto il thriller perché il genere che amo di più leggere e che, almeno secondo me, stimola maggiormente il ragionamento di un autore. Uno scrittore di thriller sa che il suo primo obiettivo è quello di sorprendere il lettore. E qui veniamo alla seconda domanda: un thriller deve sorprendere, avere i colpi di scena posizionati al punto giusto (per questo, utilizzo spesso la tecnica del “Cliffhanger”, ovvero lasciare in sospeso qualcosa a fine di ogni capitolo). 


Quanto è cambiato e maturato Roberto Leonardi come autore dal suo romanzo d’esordio, L’uomo senza volto? 

Penso sia cambiato molto (spero in meglio). In parte questo cambiamento è dovuto anche alle letture fatte negli anni. Mi piace leggere, sperimentare e conoscere la scrittura di nuovi autori. PS: ho riletto il mio primo libro, “L’uomo senza volto”, dopo due anni dalla pubblicazione. Se qualcuno mi chiedesse di riscriverlo, cambierei almeno la metà dei periodi e forse anche qualche parte della trama. 


C’è qualche autore a cui ti ispiri? 

Iniziai a scrivere dopo aver letto “Il codice da Vinci” di Dan Brown. Ho molti autori che stimo e che di sicuro hanno influenzato il mio modo di inventare storie. Tra questi: Carrisi, King, Fitzek, Dorn, Faletti e Dicker.

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