Titolo:
Il serpente e la rosaAutore: Lisa LaffiEditore:
I Doni Delle Muse
Genere:
romanzo storico
Pagine:
330
Prezzo:
14 euro
Quando Bianca Riario
è costretta ad abbandonare Roma per ritirarsi nella residenza di
Forlì, è ormai rassegnata a un ruolo di secondo piano all’ombra
della madre, Caterina Sforza.
Guidata dallo
storico Leone Cobelli, apprenderà tuttavia la complessità delle
relazioni politiche che coinvolgono la sua famiglia, fino a
comprendere il tradimento che si sta consumando ai danni del Serpente
degli Sforza e della Rosa dei Riario.
Unico indizio nelle
sue mani, alcune quartine dal significato oscuro che parlano di
complotti, in anni in cui è sempre più difficile distinguere
alleati e nemici. Tra congiure e lotte per mantenere il potere,
Bianca e Caterina tengono tra le mani le sorti della Romagna anche
quando ogni speranza sembra vana.
UN ASSAGGIO
Quegli occhi screziati d’oro non mi abbandonano un istante. Sembrano seguirmi lungo tutta la stanza, studiano ogni mia mossa e paiono in grado di leggere nel mio animo. Il collo della donna che mi osserva malinconica è lungo, elegante e mi ricorda quello di uno dei cigni del nostro giardino, ma sono le mani ad attirare la mia attenzione. Sono bianche, le dita lunghe e affusolate stringono una rosa. Una rosa canina. Per un attimo mi sembra che emani profumo, ma non è possibile.
Chi l’ha creata era un genio, ma non era Dio. La rosa e i gelsomini sono un’illusione sulla tela, così come la donna che li stringe dolcemente tra le dita. Sono il simbolo di un’epoca che sta scomparendo.
Mi avvicino a piccoli passi e le tocco il volto. «Hai davvero mantenuto la tua promessa» sussurro. La donna mi guarda. Non può sentirmi o forse sa che non sto parlando a lei, ma a qualcuno che ormai non può più udirmi. «Pensavo che tu non potessi morire mai, ma eri un uomo. Gli uomini diventano polvere e tu non fai eccezione. Sarà grazie alla tua arte che tu e io vivremo per sempre».
Continuo a fissare il quadro, tocco le pennellate invisibili con una mano mentre con l’altra non riesco a evitare di accartocciare la lettera che mi è appena arrivata dalla Francia. Quando il messaggero mi ha comunicato che proveniva da Amboise non ho capito immediatamente, ma mi è bastato scorgere la calligrafia di Salai per iniziare a tremare.
«Cattive notizie da Milano?». La voce di Costanza, la maggiore delle mie figlie, mi riscuote. Tra le sue mani stringe rose canine e gelsomini. Come la donna del quadro. La somiglianza tra le due è grande, se non per il sorriso.
«No, piccola mia. Non da Milano, ma da Amboise, in Francia».
Il suo sguardo interrogativo lascia il posto a un’occhiata malinconica. Se non avesse appena posto i fiori in un vaso accanto al quadro e vestisse abiti fiorentini, sarebbe identica alla dama che ci osserva in silenzio dall’alto.
«Siete voi, vero?» chiede con voce pacata. Sta cercando di infondermi una tranquillità che ho perso da quando ho ricevuto quella maledetta lettera. «A volte, quando siete assente, mi siedo qui davanti a lei e le parlo. Le somigliate così tanto e mi sembra così viva che mi pare di essere davvero con voi. È come se foste tra questo mondo e l’altro. L’uomo che l’ha realizzata era a un passo da Dio».
«Ora è lì con lui e il mondo ha probabilmente perso il più grande pittore di tutti i tempi. Questa tela è opera del maestro Leonardo. Sei giorni fa è morto in Francia, alla corte di re Francesco, l’ultimo signore che ha saputo capirne la grandezza».
«Leonardo?». I suoi grandi occhi mi guardano sorpresi. «Voi conoscevate il grande Leonardo? Mi volete far credere che vi fece dono di un suo quadro?». La pacatezza nella voce di Costanza è scomparsa. In pochi istanti riconosco la sua curiosità e il suo desiderio di avere risposte.
«Mi regalò questo quadro, sì, e anche molto di più».
«Cosa?» chiede incuriosita.
Non rispondo, non ce la faccio. Mi guarda eccitata e piena di aspettative per qualche istante, poi, quando vede che nulla esce dalle mie labbra, inizia a toccare le mani lunghe, aggraziate e sottili della Dama. Così l’avevano sempre chiamata in famiglia i bambini, senza osare mai avvicinarsi. In quel momento, invece, Costanza sta sfiorando la rosa canina. Il simbolo dei Riario.
Non so nemmeno io perché lo faccio, ma le scosto bruscamente le dita dalla tela. «L’immortalità. Leonardo ha donato a me e a mia madre l’immortalità. E se vuoi sapere come due giovani donne, dopo avere perso un signoria, ricchezze e onori, conquistarono il dono più grande, devi solo chiedermelo e io te lo racconterò. Non c’è nulla che io non ricordi di quegli anni».
Costanza si siede a terra e sfodera il suo enigmatico sorriso. Lo stesso che vedevo sul volto di Caterina Sforza, mia madre, nei momenti più difficili della sua esistenza.
«Sono pronta, raccontatemi».
Quegli occhi screziati d’oro non mi abbandonano un istante. Sembrano seguirmi lungo tutta la stanza, studiano ogni mia mossa e paiono in grado di leggere nel mio animo. Il collo della donna che mi osserva malinconica è lungo, elegante e mi ricorda quello di uno dei cigni del nostro giardino, ma sono le mani ad attirare la mia attenzione. Sono bianche, le dita lunghe e affusolate stringono una rosa. Una rosa canina. Per un attimo mi sembra che emani profumo, ma non è possibile.
Chi l’ha creata era un genio, ma non era Dio. La rosa e i gelsomini sono un’illusione sulla tela, così come la donna che li stringe dolcemente tra le dita. Sono il simbolo di un’epoca che sta scomparendo.
Mi avvicino a piccoli passi e le tocco il volto. «Hai davvero mantenuto la tua promessa» sussurro. La donna mi guarda. Non può sentirmi o forse sa che non sto parlando a lei, ma a qualcuno che ormai non può più udirmi. «Pensavo che tu non potessi morire mai, ma eri un uomo. Gli uomini diventano polvere e tu non fai eccezione. Sarà grazie alla tua arte che tu e io vivremo per sempre».
Continuo a fissare il quadro, tocco le pennellate invisibili con una mano mentre con l’altra non riesco a evitare di accartocciare la lettera che mi è appena arrivata dalla Francia. Quando il messaggero mi ha comunicato che proveniva da Amboise non ho capito immediatamente, ma mi è bastato scorgere la calligrafia di Salai per iniziare a tremare.
«Cattive notizie da Milano?». La voce di Costanza, la maggiore delle mie figlie, mi riscuote. Tra le sue mani stringe rose canine e gelsomini. Come la donna del quadro. La somiglianza tra le due è grande, se non per il sorriso.
«No, piccola mia. Non da Milano, ma da Amboise, in Francia».
Il suo sguardo interrogativo lascia il posto a un’occhiata malinconica. Se non avesse appena posto i fiori in un vaso accanto al quadro e vestisse abiti fiorentini, sarebbe identica alla dama che ci osserva in silenzio dall’alto.
«Siete voi, vero?» chiede con voce pacata. Sta cercando di infondermi una tranquillità che ho perso da quando ho ricevuto quella maledetta lettera. «A volte, quando siete assente, mi siedo qui davanti a lei e le parlo. Le somigliate così tanto e mi sembra così viva che mi pare di essere davvero con voi. È come se foste tra questo mondo e l’altro. L’uomo che l’ha realizzata era a un passo da Dio».
«Ora è lì con lui e il mondo ha probabilmente perso il più grande pittore di tutti i tempi. Questa tela è opera del maestro Leonardo. Sei giorni fa è morto in Francia, alla corte di re Francesco, l’ultimo signore che ha saputo capirne la grandezza».
«Leonardo?». I suoi grandi occhi mi guardano sorpresi. «Voi conoscevate il grande Leonardo? Mi volete far credere che vi fece dono di un suo quadro?». La pacatezza nella voce di Costanza è scomparsa. In pochi istanti riconosco la sua curiosità e il suo desiderio di avere risposte.
«Mi regalò questo quadro, sì, e anche molto di più».
«Cosa?» chiede incuriosita.
Non rispondo, non ce la faccio. Mi guarda eccitata e piena di aspettative per qualche istante, poi, quando vede che nulla esce dalle mie labbra, inizia a toccare le mani lunghe, aggraziate e sottili della Dama. Così l’avevano sempre chiamata in famiglia i bambini, senza osare mai avvicinarsi. In quel momento, invece, Costanza sta sfiorando la rosa canina. Il simbolo dei Riario.
Non so nemmeno io perché lo faccio, ma le scosto bruscamente le dita dalla tela. «L’immortalità. Leonardo ha donato a me e a mia madre l’immortalità. E se vuoi sapere come due giovani donne, dopo avere perso un signoria, ricchezze e onori, conquistarono il dono più grande, devi solo chiedermelo e io te lo racconterò. Non c’è nulla che io non ricordi di quegli anni».
Costanza si siede a terra e sfodera il suo enigmatico sorriso. Lo stesso che vedevo sul volto di Caterina Sforza, mia madre, nei momenti più difficili della sua esistenza.
«Sono pronta, raccontatemi».
NOTA
DELL’AUTORE
Non ricordo il
momento preciso in cui ho scoperto il personaggio di Bianca, ma
ricordo che ogni volta che sentivo parlare di Caterina Sforza pensavo
anche a lei, chiedendomi come potesse essere stata la sua vita
accanto a una donna come la “Tigre della Romagna”.
Il loro è stato
sicuramente un rapporto particolare perché la contessa di Imola e
Forlì ha spesso anteposto il suo ruolo politico a quello di madre.
Si tramanda che
Caterina abbia detto, alla fine della sua esistenza: «Se io potessi
scrivere tutto, farei stupire il mondo».
È stato quasi naturale per me, cinquecento anni dopo, raccogliere l’ultima provocazione di Caterina e scrivere la sua vita, guardandola attraverso gli occhi di una testimone d’eccezione come sua figlia. Adoro studiare le donne del passato, il loro posto nella società e la loro lotta per il potere. Più cercavo notizie su Bianca, più mi pareva il tipo di personaggio che amo in modo particolare: una donna che è trascurata o negata dalla storia tradizionale, ma che può essere riscoperta mettendo assieme tanti piccoli pezzetti dell’enorme puzzle di cui fa parte.
Per quanto gli episodi narrati nel romanzo possano sembrare eccezionali, sono rimasta quanto più possibile aderente alla realtà storica. Gli incontri di Caterina e Bianca con Leonardo da Vinci o con Niccolò Machiavelli sono avvenuti davvero, le battaglie combattute contro la peste e contro il Valentino ci sono state e anche la storia del messaggio affidato al cronachista Leone Cobelli da un misterioso frate è storicamente provata. Mi sono limitata a dare loro spessore.
L'AUTORE
È stato quasi naturale per me, cinquecento anni dopo, raccogliere l’ultima provocazione di Caterina e scrivere la sua vita, guardandola attraverso gli occhi di una testimone d’eccezione come sua figlia. Adoro studiare le donne del passato, il loro posto nella società e la loro lotta per il potere. Più cercavo notizie su Bianca, più mi pareva il tipo di personaggio che amo in modo particolare: una donna che è trascurata o negata dalla storia tradizionale, ma che può essere riscoperta mettendo assieme tanti piccoli pezzetti dell’enorme puzzle di cui fa parte.
Per quanto gli episodi narrati nel romanzo possano sembrare eccezionali, sono rimasta quanto più possibile aderente alla realtà storica. Gli incontri di Caterina e Bianca con Leonardo da Vinci o con Niccolò Machiavelli sono avvenuti davvero, le battaglie combattute contro la peste e contro il Valentino ci sono state e anche la storia del messaggio affidato al cronachista Leone Cobelli da un misterioso frate è storicamente provata. Mi sono limitata a dare loro spessore.
L'AUTORE
Laureata in
Conservazione dei Beni Culturali e insegnante di Lettere, Lisa Laffi
vive a Imola dove per anni ha lavorato per il giornale Il
Nuovo Diario Messaggero come
redattrice e caporedattrice.
È autrice di una
commedia teatrale e di due saggi di storia locale, pubblicati
all’interno di
Pagina e vita di storia imolesi.
Questo è un libro che mi piacerà sicuramente *-* me lo segno!
RispondiEliminaFammi sapere se lo leggerai *___*
EliminaGrazie Ancella, spero davvero che "Il serpente e la rosa" possa non deluderti! Un grazie di cuore anche a Giovanna che mi ha aperto le porte del suo bellissimo blog!
RispondiEliminaUn vero piacere Lisa, ha una trama molto interessantte! :)
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