Idi di Marzo - L'evento storico / Teorie e riflessioni - Un lettore è un gran sognatore | Blog di letteratura, storia, cultura, teatro

mercoledì 15 marzo 2017

Idi di Marzo - L'evento storico / Teorie e riflessioni

*Articolo a cura di Sonia Morganti, autrice di "Calpurnia. L'ombra di Cesare" e grande intenditrice di Cesare*

Vincenzo Camuccini
La morte di Giulio Cesare
La congiura che uccise Cesare alle idi di marzo del 44 a.C. è uno degli eventi storici più noti e più narrati: la linearità degli accadimenti è stupefacente, le implicazioni storiche e filosofiche sono molteplici. Pane per i denti dei cantastorie di ogni epoca. In questo articolo che Giovanna mi ha chiesto di scrivere, mi piacerebbe analizzare il “fatto” idi di marzo e le varie maniere in cui è stato descritto e interpretato dalla narrativa. Lungi da me voler fare un’elencazione esaustiva: in primis sarebbe impossibile per motivi di spazio e poi mi piacerebbe che, in un certo senso, l’articolo restasse aperto e nei commenti chiunque voglia citare un’opera - sia un romanzo, una pièce teatrale, un film terribile o un quadro splendido - possa farlo.


L’evento storico

Edward John Poynter
The Ides of March
1883 Manchester City-Art Galleries
Le idi di marzo sono una porta: la repubblica, morente, uccidendo Cesare finisce per suicidarsi, perché si mostra inadeguata a recuperare quel ruolo che non le era certo stato strappato da una sola persona. Il suo meccanismo aveva smesso di funzionare e Cesare non ne era la causa ma l’effetto.
Le idi di marzo sono un delitto tanto banale quanto sontuoso nelle circostanze, suggestionano ancora a distanza di millenni per quello che a me piace chiamare “effetto Samarcanda”, cioè il richiamo alla leggenda della morte inevitabile, rimbalzata tra testi sacri, romanzi e canzoni. Un soldato festeggia la vittoria di tante battaglie e all’improvviso vede la Morte che lo fissa. Scappa velocissimo in un’altra città, sempre più lontano, finché non se la ritrova davanti comunque. Si arrende, scoprendo che la Morte lo attendeva proprio lì e la sua fuga lo ha semplicemente condotto all’appuntamento con il destino.
Il fatto storico nudo e crudo lo conosciamo tutti. Cesare, ormai, riassume in sé tutti i poteri di Roma. Un gruppo di senatori, spesso beneficiati da Cesare stesso, consci della propria perdita di potere, lo uccidono. L’unico effetto è aggiungere qualche anno di turbolenze e guerre civili al percorso che condurrà Roma al principato.
Mi ha sempre colpito, però, la componente umana di questo evento. La congiura che uccide Cesare era stata organizzata in maniera dilettantesca, tra fughe di notizie, minacce, tensioni palesi e nessun piano per il dopo. Lo scrive anche Cicerone: animo virili, consilio puerili. Tuttavia, i congiurati riescono nel loro primo intento, eliminando il dittatore. Eppure, senza contare le minacce esplicite dei mesi precedenti, Cesare aveva ricevuto almeno tre avvisi circostanziati del pericolo incombente. Per una serie di fattori umani, non li ascolta e va incontro al suo destino.
Vediamo passo passo cosa accadde.

In casa

Sonia Morganti
Calpurnia. L''ombra di Cesare
Leone Editore
La sera precedente, Cesare mangia a casa di amici e si trova a discutere con loro del tema sollevato dal classico commensale amante degli argomenti inopportuni: la morte migliore. Cesare vota per l’inattesa. Insomma, sembra già un presagio.
Ma è solo l’inizio di un’escalation, perché Cesare non sa di aver già visto il suo ultimo tramonto.
Il dittatore ha molto lavoro arretrato, specie in vista dell’imminente campagna bellica contro i Parti, eterna spina nel fianco est di Roma. Fa le ore piccole, secondo gli astrologi si corica proprio alle prime ore del 15 marzo, ma il riposo non è sereno. La moglie, Calpurnia, si lamenta nel sonno. La mattina seguente gli racconterà di averlo sognato morto tra le sue braccia e gli chiederà di rimanere a casa. E, incredibile ma vero, Cesare si
Valerio Massimo Manfredi
Idi di marzo
Mondadori
convince: sa che sua moglie è una donna intelligente, se gli dice di non uscire avrà i suoi buoni motivi. Questo ragionamento di Cesare, personalmente, mi spinse agli studi e mi portò a scrivere il romanzo “Calpurnia, l’ombra di Cesare”. Infatti reputo strano che sia stato un semplice sogno a persuadere il volitivo condottiero. È più probabile che Calpurnia avesse intercettato delle notizie precise e gli avesse segnalato un pericolo circostanziato. Maria Alonso, autrice di “
El sueño de Calpurnia” si mantiene più sulla scia della tradizione. Da studiosa della mitologia femminile, si concentra sul presagio e sulla disperazione di Calpurnia che cerca di convincere il marito a non uscire di casa, ricorrendo a tutti i possibili mezzi di persuasione. A questo momento estremo della vita di Cesare, Valerio Massimo Manfredi dedica parole asciutte e dolorose nel suo romanzo “Idi di Marzo”. C’è la consapevolezza che l’irreparabile sta per accadere e la speranza è come l’aria: qualcosa di cui si ha bisogno, anche se non ci si crede più. Cesare, infatti, ha le mani legate: troppa carne al fuoco, troppe leve di persuasione vengono spinte. Decide, quindi, di mettersi in cammino verso il senato. Per mio fazioso dovere di cronaca, voglio aggiungere che Valerio Massimo Manfredi è un estimatore di Calpurnia. Come lo so? Gliel’ho chiesto personalmente durante una presentazione. E, se ci ripenso, sudo ancora per l’emozione. Ma torniamo a Cesare che, a questo punto, di sudare ne ha ben donde.

 
Fuori casa

…se mai, di tra la massa, ti s'accosti
un qualche Artemidoro, con uno scritto in mano,
e dica in fretta: «Lèggi questo súbito,
è cosa d’importanza, e ti riguarda»,
allora non mancare di fermarti, non mancare
di differire colloqui e lavori,
di rimuovere i tanti che al saluto
si prostrano (più tardi li vedrai).
Anche il Senato aspetti. E lèggi súbito
il grave scritto che ti reca Artemidoro
 
Konstantinos Kavafis
Questa è la riflessione che i fatti a ridosso delle idi di marzo suscitano nel poeta greco Konstantinos Kavafis: ascolta chi canta una canzone diversa dagli altri, anche se il loro coro ti assorda, perché da lui potrebbe giungere la verità! E magari la salvezza. Se non di Roma, almeno di te, uomo, che nascesti da donna, nudo e indifeso, come tutti.
La saggezza di chi scrive in versi, di un greco nato ad Alessandria d’Egitto e che rivolge frasi di eterna umanità a tutti, ci colpisce sempre.
Nella folla, Cesare ignora la lettera che gli viene portata da Artemidoro di Cnido, coltissimo liberto di origine greca. La riceve ma la mette da parte, per leggerla in un momento più tranquillo. In quel foglio, di nuovo, c’era una denuncia precisa di ciò che stava per accadere. Cesare avanza ancora, mentre il sole di marzo sale.

Sulla soglia del senato

Idi di marzo
Colleen McCullough
Rizzoli
Qui, di nuovo, il destino ci dà una lezione di classe. C’è un indovino cieco che si guadagna da vivere con profezie assortite, lanciate ai passanti in cambio di un aiuto. Spurinna aveva detto a Cesare di guardarsi dalle idi di marzo. Cesare ricorda quella frase e si rivolge all’indovino, facendogli notare che le idi di marzo sono arrivate e non è successo nulla. Spurinna ribatte che, però, non sono ancora passate. Chissà come avrà preso Cesare una chiosa così inquietante. Possiamo immaginarcelo, magari rubando qualche espressione comica da un fumetto di Asterix o con qualche battuta irriverente, perché i testi antichi ci raccontano solo che Cesare varca comunque la soglia della curia, dove troverà la morte.
Riccardo Bacchelli
I tre schiavi di Giulio Cesare
Arnoldo Mondadori Editore
Nel libro Le idi di marzo”, l’omicidio in sé è descritto magistralmente da Colleen McCullough, autrice che con la sua monumentale serie Masters of Rome ha fatto appassionare molti al romanzo storico. I fatti si svolgono in un crudo, gelido silenzio, come d’altronde racconta Svetonio. Perché in secoli di narrativa, pian piano, il morente Cesare finisce per diventare molto loquace, per un meccanismo simile a quello che applicarono i rotocalchi alla morte di Lady Diana, che articolo dopo articolo inizia a rivelare di tutto negli attimi prima del trapasso. Nella nuda descrizione dell’attacco invece, senza un aggettivo di troppo, Colleen McCullough mette tutta la sua preparazione di neurologa e il suo sguardo di scrittrice esperta. Il risultato è di una bellezza glaciale e tremenda.
L’uscita di scena di Cesare avrà un’appendice intima e dolente, profondamente umana, che colpirà di nuovo la fantasia dei narratori. Racconta Svetonio che solo tre schiavi ebbero il coraggio di avvicinarsi al corpo martoriato del dittatore - se avete mai afferrato la riproduzione esatta di un pugio romano, avrete anche un’idea delle condizioni - per caricarlo su una lettiga e riportarlo, mestamente a casa. Su questo atto di pietà, che annulla le distanze come una “livella” ante litteram, Riccardo Bacchelli pubblicò nel 1957 un romanzo dal titolo “I tre schiavi di Giulio Cesare”.

Teorie e riflessioni

 "L'uomo dell'anno 44 a.C. - L'uomo che vendicò Giulio Cesare"
 Sceneggiato da Sébastien Latour
Disegnato da Tommaso Bennato
Personalmente mi ha colpita notare che, come gli unici a raccogliere il corpo del dittatore sono degli umili schiavi, così gli unici a metterlo in guardia a chiare lettere sono - diciamo così - persone di serie B nel sistema sociale antico: una donna, un liberto, un veggente cieco. Persone davanti alle quali, forse, un aristocratico romano, certo del proprio ruolo nel mondo, misurava meno le parole. Magari lasciandosene scappare qualcuna di troppo, sottovalutando il coraggio e l’intelligenza di chi lo circondava. Pensate a quante ne sanno gli idraulici, le segretarie, le domestiche e via dicendo, e chiedetevi come mai. In fondo, il meccanismo umano dell’autostima e della considerazione sociale, non è cambiato.

Per tornare a discorsi più seri, da alcuni anni è diffusa la teoria, sostenuta a suo tempo da un latinista eccezionale come Luca Canali, per cui le idi di marzo sarebbero state una sorta di “suicidio per mano altrui”. Cesare sa bene a cosa sta andando incontro e, conscio dell’ormai prossima decadenza fisica, si lascia uccidere. Personalmente non sono di questo avviso, per una serie di ragionamenti senza valore storico, che però mi piace riportare come spunto di riflessione. Era iniziato da poco lo sbancamento di un’area prossima al Tevere dove Cesare avrebbe costruito il suo teatro, non distante da quello del suo storico amico e nemico Pompeo. Molti altri progetti erano aperti e, per quanto nel testamento ci fosse un erede nominato, Cesare sapeva bene che il giovane Ottavio non era certo un successore fatto e finito. E sapeva ancora meglio che Tolomeo XV, alias Cesarione, il figlio avuto da Cleopatra, lo non sarebbe mai stato. Tutti quei cantieri aperti e quei piani da realizzare implicano una progettualità davvero strana per una fase depressiva tale da convincere un uomo a lasciarsi uccidere. È vero che Cesare stava per muovere guerra ai Parti. Considerando che, molto più giovane, la Gallia gli era costata i denti, non era improbabile che una campagna bellica del genere gli sarebbe costata la vita. Eppure, ammesso e non concesso, è sempre un morire “facendo”. Non lasciando fare. E portando avanti un’attività nella quale sei consapevole di eccellere. Ma se la teoria del suicidio non mi ha mai convinta, ha ispirato comunque vari testi tra cui “Diario segreto di Giulio Cesare” di Luca Canali e il recentissimo “Cesare l’immortale” di Franco Forte. In quest’ultimo caso, la morte è solo inscenata: la fame di sapere e di avventura di Cesare è pari a quella del suo mito personale, Ulisse, e la (finta) congiura è una rumorosa uscita di scena per tornare ad esplorare i confini del mondo.
Tratto da un adattamento a fumetti del Julius Caesar di Shakespeare
adattato da Carl Bowen e disegnato da Eduardo Garcia.
Comunque, la verità la conosce solo Cesare.
Noi posteri interpretiamo, scriviamo.
Spesso alle idi di marzo a Roma si tengono rappresentazioni teatrali, a volte organizzate e a volte nate spontaneamente, da gruppi di turisti o di appassionati. Citano Shakespeare, declamano il magistrale discorso di Antonio o gli avvertimenti cupi di Spurinna. L’ara dove fu bruciato il corpo del dittatore viene coperta di fiori e candele, ci sono rievocazioni storiche e picchetti d’onore.
Il ricordo di un delitto paradossalmente è diventato quasi una ricorrenza piena di vita.
Al contrario di Antonio, non siamo qui per seppellire Cesare.

Siamo qui per esorcizzare il destino, per ritrovare l’umanità anche nell’uomo più potente e, in ultima analisi, in noi stessi. 

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