L’Italia negli anni ’60 conosce un periodo di crescita economica, sociale e culturale.
Alcuni gruppi di ceti popolari, grazie anche a un aumento graduale dei salari, iniziano ad elevarsi e ad avere l’opportunità di poter acquistare beni come elettrodomestici e autovetture.
Inoltre, si assiste anche a uno spostamento massiccio dalle campagne alle città, perché molte persone erano attratte dalla vita urbana e dal tipo di lavoro diverso che offriva, come nei settori industriali e terziari.
Oltre a un ampliamento dei centri urbani e a un incremento dei mezzi pubblici, c’è anche una novità che riguarda la scuola e l’istruzione.
Con la riforma 1859 del 1962 cambia volto anche il mondo dell’istruzione, che viene reso accessibile a tutti: viene abolita la scuola di Avviamento al lavoro e viene creata una scuola media unificata che consente l’accesso a tutte le scuole superiori. Inoltre, anche i figli dei meno abbienti possono proseguire gli studi grazie a borse di studio e altri aiuti.
Sono, dunque, anni segnati da un forte boom economico che consente al Paese di poter vantare una graduale riduzione del tasso di disoccupazione, povertà e analfabetismo.
Gli anni '60 e la donna
L’Italia vive grandi miglioramenti, ma c’è ancora un punto in cui resta molto arretrata: il ruolo della donna all’interno della società.
Nonostante le donne richiedano a gran voce più libertà e possibilità di poter entrare nel mondo del lavoro, continuano a pagare ancora una visione fin troppo tradizionalista e patriarcale. Continuano ad essere viste, nella maggior parte dei casi, come un qualcosa che appartiene dapprima al padre e dopo al marito.
Nel 1960 viene stabilita la parità salariale tra uomo e donna.
La legge 7 del 1963 sancisce che la donna non è più costretta a lasciare il lavoro dopo il matrimonio perché viene eliminata la clausola di nubilato e abolito il licenziamento in seguito alle nozze.
Pur non più obbligate, sono molte le donne che preferiscono lasciare il lavoro per fare le casalinghe dopo il matrimonio: il dato delle donne casalinghe, in quegli anni, supera di gran lunga quello delle donne con un lavoro.
La fine degli anni Sessanta, in particolar modo il Sessantotto, vede movimenti di contestazioni che partono dall’ambiente scolastico per espandersi a quello dei lavoratori e degli operai.
Ed è proprio in quell’anno che iniziano a nascere i primi gruppi femministi che richiedono l’uguaglianza tra uomo e donna e che richiamano l’attenzione su temi caldi come l’aborto e il divorzio.
La donna, così come l’uomo, ha il diritto di poter avere un proprio lavoro, di poter avere le stesse opportunità lavorative di un uomo senza essere esclusa da determinati impieghi, e di avere una propria dipendenza economica.
Il 20 dicembre del 1968 viene abolita la differenza di adulterio femminile e maschile sancita dal Codice penale.
Nel 1970 il movimento femminista ottiene un’altra vittoria con la legalizzazione del divorzio.
La condizione della donna raccontata da Maurizio Germani ne L'ala dell'ape
Tutti uguali gli uomini. Prima del matrimonio: "E ti porto di qua e ti porto di là, ti faccio fare la bella vita". Gli uomini cercano una serva. Promesse, promesse e poi ci spacchiamo la schiena a lavare e pulire.
In uno degli ultimi libri che ho letto, L’ala dell’uomo ape di Maurizio Germani, questa tematica viene ampliamente trattata.
Ambientato a Milano nel 1969, il romanzo ha come protagonista Betty, che sin da piccola ha grandi sogni e ampie prospettive per il futuro, nonostante un’infanzia tutt’altro che facile.
Betty è una ventiduenne allegra e spensierata, vorrebbe essere indipendente e vorrebbe poter realizzare quello che è il suo più grande desiderio, cantare. Ma ciò non viene visto di buon occhio dalla sua famiglia che non la sostiene. E neanche suo marito, Ettore, la aiuta molto: per lui è inaccettabile che lei lavori e che si voglia mettere in mostra cantando.
Seguendo la linea di pensiero dell’epoca, Betty sarebbe dovuta rimanere al suo posto, occupandosi solo delle faccende domestiche e accontentando il marito.
Una casalinga subordinata, in poche parole.
Ma Betty non ci sta. Lei ha un animo ribelle e lo dimostra in più di un’occasione.
È furba, intelligente, oltre che molto bella. Ascolta di nascosto canzoni straniere, traduce i testi con i suoi piccoli vocabolari e ne scrive di suoi, legge romanzi d’amore.
Betty ci prova, lotta, ottiene dal marito il consenso a lavorare presso una ricca signora, ma deve sempre scontrarsi con la dura realtà. È una donna sposata con un uomo che vuole comandarla; la libertà, anche quando sembra così vicina, è in realtà irraggiungibile.
Ed essere liberi, a volte, può costare davvero molto caro.
Maurizio Germani, attraverso la storia di Betty, offre al lettore un quadro dettagliato di quello che è il ruolo della donna in quegli anni.
Betty è una donna che non si arrende mai, pur dovendo vivere tra mille difficoltà e tra uomini che cercano di decidere la vita che deve condurre.
Betty rappresenta ognuna di quelle donne che hanno lottato e che, purtroppo, lottano tuttora per la propria indipendenza.
Nel cassetto conservava i testi di una ventina di canzoni che aveva scritto a sedici anni. Non le piacevano più, li trovava infantili, ma non riusciva a liberarsene; così restavano sempre là dentro, pronti a saltar fuori per ricordarle che quella che stava vivendo non era la sua vita, ma quella che altri avevano tracciato per lei, e alla quale lei si arrendeva per paura, soffocando dentro di sé gli uragani che flagellavano i suoi cieli.
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